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Architettura&Vino

di Stefano Meo

La produzione di vino, da sempre inteso come espressione identitaria e culturale di luoghi e popolazioni, ha acquistato negli ultimi anni un nuovo valore, divenendo vero e proprio catalizzatore di “percorsi turistici” in grado di accrescere la visibilità di zone altrimenti destinate a rimanere ai margini delle aree urbane. Complice l’evoluzione nel tempo del significato percepito del vino, si è potuto assistere ad un fenomeno di sviluppo della cultura del “buon bere”, unito alla volontà di trasformarne i luoghi di produzione, che avevano fino ad allora risposto solo ad esigenze funzionali, in strumenti di comunicazione dell’immagine dell’azienda e punti di riferimento del territorio in cui questa si trova. Concepiti finalmente come polo attrattivo e di accoglienza, viene offerta così al visitatore la possibilità di godere della bellezza dei paesaggi rurali che accolgono queste architetture ed entrare in contatto con quel mix di storia, tradizioni ed emozioni rappresentato dal vino.

Con l’avanzare di questo fenomeno si è sviluppata di pari passo la necessità di declinare le nuove esigenze con una risposta architettonica che non dettasse regole fisse, ma che a seconda delle richieste, rendesse possibile il dialogo tra tutti gli attori coinvolti nel processo produttivo, dal proprietario, all’enologo, ai tecnici di cantina, in modo da ottenere soluzioni capaci di soddisfare non solo le esigenze tecnico-funzionali, ma anche quelle di design, confort, sicurezza e prestazioni.

La diffusione dell’enoturismo ha fatto sì che le cantine venissero viste come “cattedrali del vino”, sicuramente funzionali al prodotto finale, ma anche in grado di  regalare a visitatori e a turisti un’esperienza unica che rappresentasse al meglio il carattere dell’azienda che li ospita; per questa ragione molti produttori hanno iniziato a rivolgersi ad importanti studi di architettura, in alcuni casi anche a famose “Archistar”, perseguendo un solo obiettivo: la volontà di trasmettere anche con le forme e lo spazio tutto il valore dell’attività che vi si svolge all’interno, celebrando il lavoro dei vignaioli, la tradizione e le caratteristiche del prodotto. A tutto ciò va aggiunta un’esigenza fondamentale di questa categoria di architetture, ovvero l’imprescindibile rapporto con il paesaggio in cui si inseriscono; per questa ragione gli architetti chiamati a confrontarsi con questa realtà hanno reso centrale il tema paesaggistico, nell’ottica del dare un giusto peso alla natura circostante ed alle risorse ambientali presenti. 

L’edificio che potrebbe essere considerato “capostipite” della nuova generazione di cantine è il Dominus Estate in Napa Valley, California, terminato nel 1998 dagli architetti svizzeri Herzog e De Meuron, il quale rappresenta probabilmente il punto di riferimento di tutta quella generazione di progettisti che si è messa all’opera tra fine Novecento e gli inizi del nuovo millennio. Il Dominus Estate, che si trova tra una zona pianeggiante e un versante della collina su cui crescono vigneti, si staglia come una linea orizzontale contro lo sfondo dei monti Mayacamas, dichiarando la sua presenza con una marcata monumentalità; nonostante le importanti dimensioni ed il suo “segno” nel paesaggio, l’edificio si vuole confrontare in modo non invasivo con il contesto che lo ospita, prendendo spunto dalle costruzioni rurali in pietra del luogo.

La facciata è costituita da un sistema di gabbie con rete d’acciaio riempite di pietre basaltiche irregolari e raccolte dal vicino American Canyon. Le pietre si fanno più piccole man mano che la facciata sale, permettendo alla luce di filtrare attraverso i vuoti, dando un senso di smaterializzazione della sommità dell’edificio. Il monolito di pietra costituisce soltanto un puro e semplice involucro, mentre le vere chiusure verticali sono una combinazione di pannelli di calcestruzzo prefabbricato e carpenteria in acciaio, tutto quanto a vista. Nei punti più strategici dove la luce deve entrare è presente il vetro, con infissi apribili per permettere l’areazione e la pulizia. Da questo corpo unico due varchi di ingresso che sono stati concepiti come veri e propri portali, uno principale che conduce verso il vigneto, l’altro che invece rappresenta un’apertura di servizio per gli autocarri. Il varco più grande è in asse con il percorso lineare che attraversa tutto il vigneto e che risulta essere l’unico segno ortogonale all’edificio e al sistema delle vigne. Dall’interno di questo portale che funge da area–reception si diramano i percorsi principali che portano alle diverse unità funzionali che definiscono sia degli spazi a due livelli che a doppia altezza. Al livello zero è presente la sala con le grandi cisterne cromate dove avviene la prima fase della fermentazione del vino, la cantina per i visitatori con le file dei barili in quercia francese con annessa sala di degustazione e il magazzino per l’imbottigliamento e lo stoccaggio. Al livello superiore invece sono presenti i locali di servizio e gli uffici che sono circondati da balconate, dove le gabbie fungono da parasole.

Partendo dall’opera di Herzog e De Meuron, inizia a crescere il numero dei protagonisti della filiera vitivinicola che risponde con esempi altrettanto innovativi e interessanti, dando centralità ad un obiettivo: coniugare esigenze di marketing e sostenibilità ambientale. Si definiscono così non tanto i campi di intervento quanto le strategie da mettere in atto in vista del risultato finale: la climatizzazione naturale, l’integrazione paesaggistica, il mantenimento della funzionalità produttiva anche in presenza di flussi di visitatori.

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