Reggio Emilia – Il vigneto più piccolo del mondo di Sangiovese che si sposta nel centro storico della città sospeso tra le nuvole, si emancipa e diventa apolide senza più terroir, ma proprio per questo rappresenta di più l’Italia. La struttura della terra delle piante, dentro i vasi, è un mix di argilla, calcare, ghiaia e terreno siliceo che proviene da tutte le regioni italiane. La vite allevata a terra nel cavedio, che si arrampica verso l’alto per raggiungere il terrazzo del vigneto, affonda invece le sue radici nell’Impero Romano, nelle vestigia dell’antica Regium Lepidi. Il vigneto in centro è una meraviglia per il raziocinio, un fatto inaspettato che crea un uso mentale della vigna. Sottrarre all’ambiente consueto che ci circonda un vigneto e portarlo sui tetti rossi crea uno spaesamento, una sorpresa per la sensatezza e fa nascere una metafisica dello sguardo attraverso la creatività.
Le piante sono nutrite con uova, banane, alghe marine e deiezioni di usignolo, in più le voci delle varie etnie presenti negli appartamenti confinati, i litigi, le imprecazioni nelle più disparate lingue, nei vari dialetti del mondo, arricchiscono e contaminano l’uva che non è mai sorda come nei solitari vigneti di campagna.
La vigna è maritata all’arte come una conquista, i due tutori su cui i tralci portano a maturazione l’uva, sono due opere di Oscar Accorsi. Sono basate costruttivamente sulla doppia elica del DNA, utilizzato come patten visivo. Le due sculture non sono uguali, hanno un ritmo diverso: uno è il doppio dell’altro. Via Mari 10 invecchia in barrique ed è una sosta dentro il ventre protettivo dell’arte, infatti i contenitori sono due opere eseguite dallo scultore Lorenzo Menozzi e sono la rappresentazione dell’uomo e della donna.
La tecnologia sta diventando organica e la natura sta diventando tecnologica, il vigneto più piccolo del mondo sta costringendo la storia a passare sopra questi 20 metri quadrati di terrazzo.