Simonetta Ferrante, pionera del graphic design italiano e artista calligrafa, a 93 anni firma le etichette di Donnachiara, importante azienda irpina quasi tutta al femminile dedicata all’omonima nobildonna e valorizzata dallo spirito innovativo di Ilaria Petitto.
Quello che segue è il racconto dell’incontro di donne visionarie e coraggiose con la stessa indole indipendente e tanta competenza.
Nell’entroterra appenninico dell’Irpinia si trova l’azienda vinicola Donnachiara, che ispirandosi al territorio, alle sue tradizioni e ai valori di famiglia, ha visto sorgere nel tempo una cantina tra le più rappresentative del Sud Italia.
Territorialità, autenticità e sostenibilità sono i valori che ispirano il progetto aziendale che ha sede a Montefalcione, territorio comunale particolarmente vocato, giacchè situato a cavallo di due delle tre denominazioni DOCG della Provincia di Avellino: il Fiano di Avellino e il Taurasi. Inoltre, la cantina produce Greco di Tufo, Aglianico e Falanghina, vini in cui si riconosce la cifra stilistica di Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale.
Know-how, tecnologia e innovazione caratterizzano la produzione, nel totale rispetto dell’ambiente e del paesaggio. Infatti, è del 2005 il primo fotovoltaico, modernizzato e migliorato all’inizio del 2023; inoltre, l’azienda è dotata di impianto di raccolta delle acque piovane e il vigneto di Montefalcione è allevato secondo sistemi di agricoltura biologica.
Chiara Petitto, Presidente di Donnachiara: le origini della cantina
“Mia nonna mi portava in campagna con lei e tante volte si andava in calesse, immaginatevi per una bambina il divertimento. Mi ha trasmesso l’amore per la terra e la tradizione contadina della nostra Irpinia”
Quando nel 2005 ha deciso di iniziare la sua avventura nel mondo del vino non ha avuto dubbi che l’azienda dovesse chiamarsi Donnachiara.
“Era una donna molto moderna per i suoi tempi, mi ricordo il nostro legame speciale, lei mi ha sempre incoraggiata a pensare con la mia testa, all’epoca non era scontato per una donna avere l’ambizione di essere indipendente” A differenza del suo papà, molto rigido e tradizionale, la nonna è stata per la Presidente fonte di incoraggiamento ieri ed è motivo di ispirazione ancora oggi.
Ilaria Petitto, CEO dell’azienda dal 2008
Per conseguire la laurea in Giurisprudenza Ilaria va a vivere a Roma, dove rimane per 11 anni e poi si trasferisce negli USA per 4 anni, dove fa esperienza in internazionalizzazione d’impresa, export management e contrattualistica internazionale.
Nel 2008 la madre Chiara ha cominciato a coinvolgerla nel suo lavoro ed è attraverso il vino che Ilaria si riconcilia con l’Irpinia. Forte della sua esperienza altrove, si focalizza sul settore vitivinicolo con lo sguardo sempre rivolto ai mercati esteri, dando un grande impulso all’affermazione internazionale di Donnachiara. Dichiara di ispirarsi nel suo lavoro alla mamma e alla bisnonna, una pioniera nella gestione dei vigneti.
“Sono cresciuta credendo che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini e ciò mi ha aiutata a eccellere e crescere in questo settore quasi sempre dominato dagli uomini.”
Simonetta Ferrante, pionera del graphic design italiano e artista calligrafa
Le grandi storie del design grafico, in Italia come a livello internazionale, riservano alle donne un ruolo comprimario o nullo. Se ci si riferisce in particolare a quelli che potremmo definire gli anni d’oro della grafica italiana – in un arco temporale compreso tra gli anni ’50 e i ’70 – vi sono figure che si sono distinte cui è doveroso riconoscere un ruolo rilevante.
Vi è tutta una schiera di progettiste, spesso eclettiche, che hanno operato a un livello professionale pari a quello di tanti uomini menzionati nei libri di storia. Progettiste che non vivevano all’ombra di “ingombranti“ figure maschili, ma che avevano una propria autonomia professionale, non relegata certo ad una dimensione hobbistica. Tratteggiare il loro ritratto consente di proporre una visione più inclusiva della storia della grafica italiana, di quella attività professionale che nel periodo del boom economico fino agli anni della crisi petrolifera (e che per la disciplina segnano il netto passaggio dalla grafica autoriale alla dimensione progettuale fino alla separazione tra la grafica e pubblicità) si è affermata come indispensabile protagonista per comunicare il sistema industriale italiano.
Nell’arco di tutta la lunga carriera Simonetta Ferrante ha saputo esprimersi e applicarsi ad ambiti differenti con continuità e coerenza, distinguendosi per la particolarità del percorso e la qualità della produzione. Una continuità di ricerca compositiva ed espressiva sospesa tra graphic design, calligrafia, arte (pittura in particolare). Dove i vari ambiti disciplinari non vanno visti semplicemente come fasi di una crescita individuale, ma come componenti di un’unica poetica. Nata nel 1930 a Milano in una famiglia della buona borghesia – il nonno Attilio Calabi è stato direttore generale e presidente de La Rinascente – si forma nel campo dell’arte e della musica. Dopo il diploma artistico nel 1948, completa gli studi musicali conseguendo il diploma di pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. La ricca formazione e il contesto familiare evidentemente sono stati determinanti per coltivare una propria ambizione di realizzazione professionale – in particolare nell’ambito del progetto grafico – e artistica. Ben presto infatti inizia un apprendistato con Max Huber. Ma è Giovanni Pintori, all’epoca all’Olivetti, a consigliarle di recarsi a Londra per studiare grafica presso la Central School for Arts and Crafts. Dopo due anni di frequenza, nel 1958, ottiene il diploma di Graphic Design, Pittura e Disegno. Dirà che “per molte ragioni questa scuola è stata la partenza giusta per le due attività da me preferite, quella di grafica e quella di artista”; nel frequentare la scuola londinese la Ferrante assimilò modalità compositive ed espressive meno rigide di quelle praticate in Italia e a Milano sul finire degli anni Sessanta. Pur incoraggiata da personaggi come Felice Casorati e Primo Conti a dedicarsi alla pittura decide però di percorrere inizialmente la strada del progetto grafico. Siamo negli anni d’oro del design milanese, la grafica e i suoi interpreti si erano affermati come fattori determinanti per il successo di imprese imprenditoriali che hanno fatto storia. In un universo prevalentemente maschile la Ferrante, con poche altre all’epoca, riesce tenacemente a ritagliarsi un suo spazio, tanto che la si potrebbe definire come una delle prime progettiste grafiche italiane, e a guadagnarsi nel giro di pochi anni una propria autonomia professionale.
La formazione ricevuta in Inghilterra le permette di distinguersi per la maggiore varietà nell’uso dei caratteri in funzione non puramente estetica ma anche espressiva, per la capacità di comunicare senza rigidezze e senza retorica, per semplicità e spontaneità unite a rigore formale e attenzione ai dettagli. All’inizio dei Sessanta lavora dapprima con Bob Noorda, poi con Bruno Munari alla Bompiani. In seguito apre uno studio grafico in collaborazione con Giovanna Graf e poi con Carlo Pollastrini. A partire dal 1971 e per circa 30 anni si dedica intensamente all’attività professionale: lo studio proponeva, in sintonia con la grafica più corretta e innovativa, la creazione di un’immagine coordinata che comprendeva lo studio di marchi, modulistica, comunicazione pubblicitaria per committenti come Supermercati Esselunga, Galgano, Fotorex, Elettrocarbonium, Rizzoli, DataControl, Associazioni di Psicoterapia, ecc. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta è membro di Aiap, facendo parte del Consiglio Direttivo nel decennio successivo e in tempi più recenti del Collegio dei Probiviri. Nel 1986 le viene conferito il titolo di socio onorario. Parallelamente, dal 1975, riprende a coltivare la propria vena artistica dedicandosi nuovamente alla pittura. Ritorna in Inghilterra per frequentare corsi estivi tenuti da artisti britannici come Dennis Creffield, John Epstein o Bert Isaac che insegnavano con metodi affini a quello di Collins.
Ceduto definitivamente lo studio grafico, fonda a metà degli anni Ottanta il Centro dell’Immagine e dell’Espressione che conduce e amministra fino al 1994 formando non solo al disegno e alla pittura, ma anche alla calligrafia, alla scultura, alla tessitura, alla storia dell’arte, alla musica. La centralità del progetto educativo della Ferrante è in quello che ella stessa ha sempre inseguito lungo tutto il proprio percorso professionale e artistico: acquisire la capacità di esprimere se stessi.
Chiusa l’esperienza del Centro, da allora si dedica totalmente alla pittura, “a se stessa”, venendo gratificata in numerose esposizioni in Italia e all’estero. Quello di Simonetta Ferrante è quindi un percorso che si distingue per una straordinaria continuità che le ha permesso di attraversare la seconda metà del Novecento fino ad oggi passando dalla professione di progettista grafico alla pittura, dalla calligrafia alla sperimentazione artistica. Un percorso in cui si ritrovano costantemente forma, colore, segno scrittorio pur nella ricchezza di una produzione che conta artefatti di natura varia: dal monotipo al marchio, dal manifesto al libro d’artista, al packaging, alla pittura con tecniche e materiali differenti. Nella continuità della tensione compositiva e creativa si ritrovano come costanti un’eleganza e una sensibilità estetica senza tempo, una continua ricerca espressiva e poetico-visiva che ha avuto modo di essere applicata in ambiti contigui ma differenti che, come i vasi di una ben nota legge, si sono continuamente travasati quanto di volta in volta questa poliedrica personalità è andata acquisendo nel tempo.
Simonetta Ferrante + Lorenzo Grazzani per “Esoterico” di Donnachiara
“Tutto quello che diciamo dell’arte, possiamo dirlo del vino, perché il vino è un’opera d’arte straordinaria che riguarda la vita e la terra, come la vita e come l’arte”, ebbe a dire il critico d’arte Vittorio Sgarbi in una Lectio Magistralis sul vino nei secoli della storia dell’arte. Fino ad oggi. D’altra parte, i valori legati al vino sono così elevati che ne fanno un bene dell’umanità, e con l’arte rappresentano un’unica idea di civiltà e di cultura.
E’ con questo approccio che è nata la collaborazione tra Ilaria Petitto e Simonetta Ferrante, che dopo la ‘greca’ per il marchio per l’Associazione Astigiana Monferrina del 1980, torna oggi ad occuparsi di vino con Donnachiara, coadiuvata dal Graphic Designer Lorenzo Grazzani, Docente e Responsabile dell’Archivio dell’AIAP, che cura mostre e libri anche sull’opera di Simonetta. Il progetto di Packaging per Donnachiara è una creazione unica nel suo genere: il design incontra il vino in uno scambio di cultura e creatività. L’opera è caratterizzata dal segno scrittorio di Simonetta Ferrante per il nome del vino. Segno che agli albori della sua attività ha un comportamento polimorfo: a volte si muove in modo elastico, oppure si cristallizza in forme più rigide. Solo di recente ha un carattere decisamente calligrafico, ma questa nuova fisionomia non è che una conseguenza di un naturale sviluppo della precedente assidua presenza delle lettere e delle parole, usate per motivi funzionali nei lavori di grafica pubblicitaria ed editoria. La grafica dell’etichetta è un perfetto equilibrio di arte, calligrafia e design, ovvero di forma, colori, tipografia. La composizione espressiva fonde in un tutto unico la poetica e la visione di Simonetta Ferrante, personaggio poliedrico, e la grafica di Lorenzo Grazzani.
Arte e Vino continuano a coltivare la liaison fatta di punti di contatto semantici, di condivisione di un lessico con un duplice livello di lettura: due mondi che puntano all’eccellenza espressiva e che dialogano con un pubblico per raccontare “cosa sta dietro”, a un vino appunto o un’ispirazione artistica. A questo dialogo crede fermamente Donnachiara, che sotto l’egida di Simonetta Ferrante porterà nel mondo con queste bottiglie dalle etichette inconfondibili la grande storia del Made in Italy.
* cit. Luis Fernando Olaverri