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L’Importanza e la storia dei lieviti nell’enologia

di Sabino Genovese

Il vino ha una complessità che manca ad altri alimenti fermentati, quali la birra e il pane. La diversità di specie microbiche presenti negli ambienti associati al vino a partire dalla vigna, dall’uva dagli insetti, dalla cantina e quindi caratterizzanti della biotrasformazione del mosto d’uva è una delle principali ragioni di questa complessità.
Infatti la conversione del mosto d’uva in vino è un processo biochimico nel quale i lieviti trasformano gli zuccheri in etanolo e CO2. Il mosto d’uva, che è un substrato di sviluppo non sterile, a inizio fermentazione contiene molte specie di lieviti e batteri che dalla loro attività combinata condizionano la qualità di un vino insieme a molti altri parametri, dai cambiamenti climatici alle tecniche di vinificazione. In realtà il basso pH e l’alta concentrazione di zuccheri non rendono il mosto un substrato facilmente utilizzabile dalla maggior parte dei microorganismi. La trasformazione degli zuccheri in etanolo, la progressiva riduzione di nutrienti come azoto, vitamine e lipidi, l’anaerobiosi e la presenza di solfito rendono ancora più difficile lo sviluppo microbico. Le poche specie microbiche in grado di crescere in un ambiente cosi ostile evolvono strategie che alternano competizione e cooperazione, favorendo o sfavorendo particolari gruppi microbici. Per esempio al termine della fermentazione, i batteri lattici come i batteri acetici traggono vantaggio dall’autolisi dei lieviti che arricchisce il vino di amminoacidi e vitamine utili al loro sviluppo.

Recenti tecniche di metagenomica consentono di apprezzare la complessità di questo processo e dimostrare come molti generi e specie di lieviti e batteri arrivino al mosto e abbiano sicura influenza sul vino e sul metabolismo del principale protagonista della fermentazione, Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione spontanea del mosto coinvolge inizialmente lieviti apiculati, i più abbondanti e attivi nei primi giorni, appartenenti ai generi Hanseniaspora/Kloeckera, per poi lasciare spazio a S. cerevisiae.
Gli studi condotti sequenziando le regioni ITS per i lieviti e 16S rRNA per i batteri hanno consentito di comprendere i rapporti tra muffe, lieviti e batteri, in particolare prima della vendemmia e nei primi giorni di fermentazione. Le specie di lieviti che si trovano comunemente sulla buccia degli acini appartengono ai generi Candida, Hanseniaspora, Hansenula, Pichia, Saccharomyces e Torulaspora. I lieviti interagiscono con i batteri, che sono presenti sul grappolo ad una concentrazione di circa 106 UFC/G. titolo destinato a diminuire in mosto e in vino, in cui la selezione è data inizialmente dal pH 3,0-3,5 e quindi dall’etanolo e dai polifenoli. In funzione delle caratteristiche i batteri vengono divisi in lattici ed acetici, ai batteri lattici appartengono i generi Lactobacillus, Pedicoccus, Oenoccocus tre questi, grande importanza enologica rivestono Lactobacillus hilgardii e Oenococcus oeni.
La biodiversità dell’agrosistema vigneto, assieme alle popolazioni di lieviti delle cantine, è un fattore associato alla complessità dei vini. Per quanto riguarda la colonizzazione microbica dell’uva appare certo che il contenuto zuccherino sia importante ma anche che la durezza della buccia giochi certamente un ruolo fondamentale, infatti le zone della vite dove si ritrova la più alta biodiversità microbica, sono gli acini danneggiati, anche a causa delle ferite provocate dagli insetti sulla buccia dell’acino. L’endosimbiosi con Apis Mellifera indica come molte specie di lievito siano portate sulle uve dalle api, infatti studi recenti su api e calabroni rilevano la presenza di lieviti nel microbiota intestinale di questi insetti. Quindi api e calabroni hanno un ruolo attivo nel trasportare e mantenere la biodiversità fungina con particolare attenzione ai lieviti ascomiceti del genere Saccharomyces. Gli insetti ricoprono in questo senso un triplice ruolo: in fase invernale durante lo svernamento, mantengono e preservano i lieviti, favoriscono la creazione di nuova biodiversità e nei mesi di agosto-settembre in fase di maturazione dell’uva li inoculano sugli acini. Inoltre si è scoperto che l’intestino delle vespe e dei calabroni è il luogo dove si formano nuove combinazioni genetiche di lieviti. In realtà il basso pH e l’alta concentrazione di zuccheri non rendono il mosto un substrato facilmente utilizzabile dalla maggior parte dei microorganismi. La trasformazione degli zuccheri in etanolo, la progressiva riduzione di nutrienti come azoto, vitamine e lipidi, l’anaerobiosi e la presenza di solfito rendono ancora più difficile lo sviluppo microbico. Le poche specie microbiche in grado di crescere in un ambiente cosi ostile evolvono strategie che alternano competizione e cooperazione, favorendo o sfavorendo particolari gruppi microbici. Per esempio al termine della fermentazione, i batteri lattici come i batteri acetici traggono vantaggio dall’autolisi dei lieviti che arricchisce il vino di amminoacidi e vitamine utili al loro sviluppo.


Recenti tecniche di metagenomica consentono di apprezzare la complessità di questo processo e dimostrare come molti generi e specie di lieviti e batteri arrivino al mosto e abbiano sicura influenza sul vino e sul metabolismo del principale protagonista della fermentazione, Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione spontanea del mosto coinvolge inizialmente lieviti apiculati, i più abbondanti e attivi nei primi giorni, appartenenti ai generi Hanseniaspora/Kloeckera, per poi lasciare spazio a S. cerevisiae.
Gli studi condotti sequenziando le regioni ITS per i lieviti e 16S rRNA per i batteri hanno consentito di comprendere i rapporti tra muffe, lieviti e batteri, in particolare prima della vendemmia e nei primi giorni di fermentazione. Le specie di lieviti che si trovano comunemente sulla buccia degli acini appartengono ai generi Candida, Hanseniaspora, Hansenula, Pichia, Saccharomyces e Torulaspora. I lieviti interagiscono con i batteri, che sono presenti sul grappolo ad una concentrazione di circa 106 UFC/G. titolo destinato a diminuire in mosto e in vino, in cui la selezione è data inizialmente dal pH 3,0-3,5 e quindi dall’etanolo e dai polifenoli. In funzione delle caratteristiche i batteri vengono divisi in lattici ed acetici, ai batteri lattici appartengono i generi Lactobacillus, Pedicoccus, Oenoccocus tre questi, grande importanza enologica rivestono Lactobacillus hilgardii e Oenococcus oeni.
La biodiversità dell’agrosistema vigneto, assieme alle popolazioni di lieviti delle cantine, è un fattore associato alla complessità dei vini. Per quanto riguarda la colonizzazione microbica dell’uva appare certo che il contenuto zuccherino sia importante ma anche che la durezza della buccia giochi certamente un ruolo fondamentale, infatti le zone della vite dove si ritrova la più alta biodiversità microbica, sono gli acini danneggiati, anche a causa delle ferite provocate dagli insetti sulla buccia dell’acino. L’endosimbiosi con Apis Mellifera indica come molte specie di lievito siano portate sulle uve dalle api, infatti studi recenti su api e calabroni rilevano la presenza di lieviti nel microbiota intestinale di questi insetti. Quindi api e calabroni hanno un ruolo attivo nel trasportare e mantenere la biodiversità fungina con particolare attenzione ai lieviti ascomiceti del genere Saccharomyces. Gli insetti ricoprono in questo senso un triplice ruolo: in fase invernale durante lo svernamento, mantengono e preservano i lieviti, favoriscono la creazione di nuova biodiversità e nei mesi di agosto-settembre in fase di maturazione dell’uva li inoculano sugli acini. Inoltre si è scoperto che l’intestino delle vespe e dei calabroni è il luogo dove si formano nuove combinazioni genetiche di lieviti.


Fermentazioni di uve appassite come nel caso del Vin Santo Trentino, hanno mostrato come fermentazioni lente a bassa temperatura siano caratterizzate da complessità microbica notevolmente maggiore rispetto a fermentazioni classiche.
La scoperta che le fermentazioni vinarie vedano S. cerevisiae come protagonista è di molto successiva alla cultura del vino, possiamo affermare che la storia del lievito S. cerevisiae, più di qualunque altro microorganismo, va in parallelo con la storia della microbiologia, ma prima di questo con l’evoluzione della civilizzazione umana. Questo microorganismo è stato inconsapevolmente sfruttato da almeno 5000 anni per le sue capacità fermentative, per trasformare malto e grano in birra, un pane liquido e uva in vino. il processo di fermentazione stabilizza e rende utilizzabili a lungo prodotti che altrimenti andrebbero persi.
Il primo a osservare cellule di lievito nel 1680 al microscopio, in un campione di birra è Antoine Van Leuvenhoek, nel 1837 Cagnard Latour associa il lievito alle fermentazioni, ma è solo con Louis Pasteur nel 1857 che il lievito viene dimostrato essere il solo protagonista della fermentazione alcolica. Nel 1874 Jacobsen mette il professor Emil Hansen alla guida dei laboratori della fondazione Carlsberg, e nel 1883 Buchner dimostra che CO2 e alcool possono essere prodotti da estratti di cellule di lievito. Ma è grazie al lavoro pioneristico di Ojvind Winge che negli anni’30, nei laboratori Carlsberg, si standardizzano le metodiche per la propagazione e conservazione di lievito. Grazi a queste ricerche quindi in campo agro-alimentare si raggiunge una padronanza del controllo e della stabilizzazione di S. cerevisiae tale da poterlo utilizzare come organismo modello nella ricerca in campo genetico e biologico.
Per facilitare la ricerca scientifica e permettere la standardizzazione dei risultati, la comunità scientifica adotta un isolato di riferimento: il ceppo S288c. Tale ceppo è stato ottenuto da Robert K. Mortimer e Carl Lindegren, i padri della genetica di lievito, incrociando EM93, un ceppo eterotallico isolato da Emil Mrak nel 1938, con altri ceppi di birra pane e vino, selezionando il clone con migliore capacità di crescere come unicellulare, dare colonie isolate, non avere particolari richieste nutrizionali ad essere eterotallico, quindi propagabile sia come aploide che come diploide. È importante ricordare gli artefici delle applicazioni della genetica e genomica a ceppi vinari di S. cerevisiae, e alla riscoperta della sua ecologia e della sua connessione con la millenaria e complessa arte delle fermentazioni.

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