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RUBRICA||Autori in Campo|| Flavio Castaldo – Racconto di una corsa nella terra del vino

di Valentina Taccone

Incontrare Flavio Castaldo, archeologo e docente di lettere classiche al liceo classico ‘Pietro Colletta’ di Avellino, è un colpo di fortuna per chi ama conoscere il territorio irpino e sannita da ogni punto di vista. Anche in una corsa assennata chirurgicamente raccontata nel suo ultimo titolo. Storia, cultura e tradizione sono i binari delle sue esplorazioni narrative dove, non si può non restare impressionati e piacevolmente ammaliati. Appassionato e costantemente curioso, ascoltarlo nei suoi viaggio nel tempo, è un regalo che si riceve. Flavio è direttore del Museo Archeologico di Carife e del Museo Archeologico di Taurasi, ma anche autore di un’interessante bibliografia specializzata. Lo abbiamo incontrato per il Giornale di Viticoltura ed Enologia con le sue scarpette da podista e tutto il suo slancio dialettico per seguirlo, dall’ideazione alla pubblicazione, del suo “Racconto di una corsa nella terra del vino” inserito nella collana Lobster di Martin Eden Edizioni.

Vino e letteratura si incontrano in un galoppante racconto che si riesce a leggere davvero tutto d’un fiato. Perché hai deciso di scrivere questo libro?
L’idea è nata da una lettura di un libro meraviglioso: Appia di Rumiz. L’autore attraversa anche l’Irpinia descrivendone sensazioni ed emozioni, durante il suo cammino. Da lì ho capito che potevo tradurre in narrativa ciò che vedo e ammiro ogni volta che indosso pantaloni e scarpe da runner

Capitoli che aprono una finestra su questa parte di Irpinia. Resti e reperti archeologici, profumo di storia e cultura ovunque, un piccolo mondo fatto gente genuina, produzioni di una viticoltura d’eccellenza nota in tutto il mondo e la tua corsa assennata. Pensi che siano ancora questi gli attrattori di questo territorio afflitto dal ridondante (ma vero) spopolamento delle aree interne?
Il mio libro non è una guida dell’Irpinia ma la descrizione dell’Italia appenninica; essa nasconde tesori che devono e possono essere scoperti solo attraversando questi posti con il passo lento e cadenzato della corsa. La bellezza non è solo monumentale ma anche agricola e naturale

La passione per l’archeologia è evidente in ogni tua riga, una corsa che cuce un tragitto di monumenti collocati qua e la in un museo a cielo aperto. Già autore di libri di vino nel mondo antico. Come si può valorizzare, in un modo consapevole e giusto, quest’areale che conserva in sé storia e tradizione di un’eredità che viene dai filari?
Io amo questi posti. Mia moglie ed io li abbiamo scelti per viverci anche se non ci siamo nati. Non ho una soluzione, mi limito a descrivere ciò che vedo. Il territorio è pieno di potenzialità dal paesaggio, ai prodotti quale vino, olio e formaggi. Forse una domanda che c’è da fare è: “Quanti realmente vogliono investire in queste potenzialità?” Purtroppo la risposta è sotto gli occhi di tutti, pochi molto pochi

In molti punti parli dell’eternità della campagna’, di paesaggi ancora incontaminati regolati dal tempo della natura e dalla presenza di molti personaggi che incontri per caso ma sono un perfetto ritratto di questa parte di provincia di Avellino. È questo il segreto che rende davvero unico questo territorio?
Correre nel verde del territorio irpino è ben diverso da correre in un parco cittadino. Per quanto i parchi sono necessari per la vita di chi sta in città sono comunque un paesaggio artificiale. Ben diversa la campagna con il suo ciclo di vita, con i colori che cambiano, i frutti di ogni stagione. È un paesaggio vivo e spontaneo che cambia ciò che vedi ogni stagione. Questo è il bello dell’Irpinia e di altri luoghi della natura per l’Italia

Più volte denoti con un’evidente amarezza la presenza di alcune ferite edilizie, dell’epoca dell’industrializzazione, che stonano con il paesaggio. Poi una falcata e attraversi Torre le Nocelle, Taurasi, Mirabella Eclano e Sant’Angelo all’Esca. Per ogni comune una narrazione inedita. Perché hai voluto evidenziare questa stonatura?
Sono profondamente critico su quella che era l’idea di sviluppo della DC dopo il terremoto: edilizia e industrializzazione calata dall’alto. Un’idea che ha avuto l’effetto di distruggere tradizioni e paesaggi. Una ferita che ancora non si è rimarginata

In un passo del libro scrivi” Ma l’aglianico che c’è qui racconta qualcosa di diverso”. Si parla solo di vino o qualcosa in più?
Il vitigno è tradizione, storia di un popolo, storia di un gusto. Dietro ad un vitigno e al suo vino c’è tutto chi lo coltiva, chi lo trasforma, chi lo consuma. E c’è il suolo, il clima, l’annata. Dietro ad ogni vino c’è il mondo

Grazie Flavio, al prossimo titolo!

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